Psicologia dell’allattamento: quanto conta nella relazione mamma-bimbo?

L’articolo di oggi prende spunto da una conversazione, quasi fortuita, tra due neomamme: Gianna, mamma 32 enne di Achille, 10 mesi e Nora, 30 anni, mamma di Mattia, 2 mesi e mezzo.

Entrambe primo figlio, Gianna, pur avendo svezzato Achille lo allatta al seno a richiesta, mentre Nora dopo il primo mese ha deciso di allattare Mattia esclusivamente con il latte artificiale. La mia riflessione nasce da una considerazione di Nora. Dopo l’ennesima volta in cui ha dovuto spiegare le sue ragioni sul perchè non allattasse al seno, mi ha chiesto: “Perché devo sempre giustificare la mia scelta? È come se io fossi una madre peggiore di quelle che allattano al seno, solo perché nutro mio figlio con il latte artificiale. Ma è questo che distingue una buona madre da una cattiva?”

Di certo io spetta a me giudicare una buona madre da una cattiva, ma è pur vero che, in particolare negli ultimi anni, la massiccia campagna mediatica e informativa sui benefici del latte materno per neonato e mamma ha contribuito a diffondere il pensiero comune che si debba allattare esclusivamente al seno e che tutte le mamme possono e devono farlo.

Sicuramente i vantaggi dell’allattamento materno sono scientificamente comprovati e riconosciuti: l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’allattamento al seno in maniera esclusiva fino al compimento del 6° mese di vita. Precisa inoltre che è importante che il latte materno rimanga la scelta prioritaria anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di vita ed oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino.

Non è mia intenzione soffermarmi sui pro e i contro delle due scelte (allattamento al seno versus artificiale), ma piuttosto sulle implicazioni psicologiche che si sviluppano tra mamma e bimbo attraverso il nutrimento.

Allattamento e attaccamento

L’esperienza dell’allattamento è una delle prime forme di contatto che il neonato sperimenta con il mondo. Oltre a provvedere a una necessità fisiologica, ovvero l’alimentazione, si crea anche una relazione psicologica tra mamma e bambino. Per Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, ad esempio, l’allattamento al seno rappresenta la prima forma di comunicazione in grado di condizionare le successive esperienze comunicative e relazionali. Non si tratta semplicemente di offrire del latte ma di creare un legame. A conferma di questo citò l’esperimento di Harlow psicologo statunitense, che nel 1959 osservò in via sperimentale un gruppo di scimmie e notò che l’allattamento non fosse funzionale alla semplice nutrizione. I cuccioli infatti posti di fronte a un manichino in fil di ferro dotato di poppatoio e ad uno morbido e “caldo”, trascorrevano più tempo accovacciati su quest’ultimo, recandosi dal primo solo per nutrirsi. In questo modo dimostrò che, nei primi mesi di vita, il legame di attaccamento si sviluppa non solo per un desiderio di nutrizione, ma anche per una necessità di contatto fisico. Il bambino tramite l’allattamento sperimenta infatti le prime percezioni tattili, olfattive, uditive e di calore e crea una sua prima esperienza della realtà. Quindi sicuramente il contatto diretto tetta-bocca bambino favorisce la comunicazione multisensoriale e la sintonia madre bambino, ma la stessa può svilupparsi anche in presenza di una tettarella di gomma, purchè nello stesso momento ci sia comunque un contatto fisico, uno scambio visivo-uditivo-olfattivo tra i due; abbracci, coccole e carezze inoltre sono altrettanto importanti e possono essere svincolati dal momento della nutrizione.

La rinuncia all’allattamento

La scelta di non allattare al seno o di interrompere l’allattamento dopo pochi giorni o mesi del neonato è oggi molto diffusa, per molteplici ragioni. Da un lato, molte donne dopo il parto si trovano ad affrontare da sole un’esperienza stancante, stressante e del tutto nuova, in cui anche un gesto, che per molte donne è considerato naturale come l’allattamento diventa complesso da gestire. Molte donne lamentano di non aver ricevuto o di non avere la possibilità di ricevere da parte di medici e ostetriche, consigli e soluzioni per le piccole problematiche che possono sorgere.

Fattori fisiologici (dolore, ragadi, carenza di sonno… ) o condizioni esterne, come la necessità di dover tornare al lavoro presto, possono incidere sulla scelta della madre. Altre accusano mariti, compagni o altri famigliari, di insistere nel sostenere l’importanza dell’allattamento come dovere irrinunciabile della mamma per il bene del bambino, ma di non fornirle allo stesso tempo un supporto psicologico e concreto per rendere meno faticoso il suo nuovo ruolo. Questo non fa altro che far sentire la mamma ancora più sola affaticata e demotivata e rende l’allattamento un’esperienza carica di sensazioni negative, portando al desiderio di interromperla al più presto. Altre donne preferiscono invece per scelta personale e non necessariamente condizionata da un evento negativo esterno, di non allattare o di smettere molto presto, pur avendo la possibilità di farlo.

In conclusione, per cercare di rispondere alla domanda di Nora, non credo che esistano mamme buone o cattive in base della scelta di allattare o meno il proprio figlio. È importante ricordare che, anche se oggi è un argomento al centro del dibattito sociale e di accanite campagne sul web, l’allattamento riguarda una sfera molto personale e intima, che coinvolge in primis la mamma, la sua salute fisica e psicologica e il suo bambino. Una mamma che sceglie per le ragioni sopraccitate o per mille altre di non allattare, non per questo va considerata irresponsabile, egoista o insensibile alle necessità del suo bambino, né di serie B rispetto alle altre. Come ogni scelta , può non essere condivisa, ma è necessario rispettarla ed evitare giudizi o accuse anche implicite.